Finalmente al cuore della politica
Le recenti elezioni hanno ruotato,
come mai era successo,
intorno al tema del diritto alla vita.
Lo testimoniano
pagine e pagine di quotidiani,
lo testimoniano i flussi elettorali
nei confronti “caldi”
in cui i voti pro life sono stati decisivi,
lo testimoniano gli appelli
di Bagnasco e del Papa.
E lo testimoniano anche le posizioni
in materia di Ru486
che alcuni neo governatori
hanno preso all’indomani della nomina
Nel 2008 Ferrara con il suo grido “aborto, no grazie” aveva introdotto meritevolmente il tema della vita nelle elezioni politiche nazionali; ma la sua iniziativa era rimasta estranea al confronto vero tra gli altri partiti e il magro risultato della “lista pazza” sembrò spegnere la fiammata che il direttore del Foglio aveva saputo accendere. Si poteva considerare l’iniziativa di Ferrara più di natura culturale – sotto questo aspetto potentemente efficace in continuità con il precedente lancio della moratoria sull’aborto - che non di carattere politico immediatamente produttivo di effetti pratici.
Ma ora, nelle elezioni regionali del 2010, la centralità politica del diritto alla vita è apparsa evidente. Basta pensare alla coraggiosa dichiarazione del nuovo presidente della Regione Piemonte sulla Ru486, seguito a ruota da altri neogovernatori, le tre o quattro pagine dedicate dai grandi quotidiani all’aborto, gli spazi conquistati dal dibattito sulla vita negli schermi televisivi che per giorni e settimane hanno preceduto, accompagnato e seguito le consultazioni.
Basta riguardare le pagine di Avvenire del venerdì precedente la consultazione popolare, dove, accanto alle foto di tutti gli aspiranti “governatori” il riassunto dei rispettivi programmi offriva come elemento di valutazione il loro atteggiamento riguardo alla vita e alla famiglia. D’altronde nessuno può negare che il pugno di voti che ha impedito il successo della cultura radicale nel Lazio e nel Piemonte sia stato proprio quello dei pro-life.
Paradossalmente è stata proprio la Bonino ad introdurre prepotentemente il tema dell’aborto nella campagna elettorale. Il suo nome posto al vertice di tutta la sinistra nella Regione più importante d’Italia ha evocato subito la lacerazione provocata nel tessuto civile dalla pretesa di considerare diritto la più grande delle ingiustizie.
Vi sono stati poi gli splendidi interventi del card. Bagnasco e di Benedetto XVI che hanno confermato con grande forza la centralità politica del diritto alla vita. Il primo con l’articolato discorso sui problemi della società attuale in cui la protezione della vita nascente è indicata come prima pietra della complessa costruzione del bene comune; il secondo con l’esplicita e forte indicazione del concepito come “bambino non ancora nato”.
Apparentemente, dopo le elezioni, il dibattito è sembrato concentrarsi sulla Ru486. Ma, se riflettiamo a fondo, la questione posta sul tappeto non è la pillola abortiva, ma l’aborto in quanto tale. Di più: è la qualificazione del figlio ancora nascosto nel seno materno come “bambino”, cioè come “uno di noi”, un individuo umano, una persona. Dire no all’Ru486 può sembrare esagerato se ad essere eliminato è un “grumo di cellule”, ma è più che appropriato se i bambini sono sempre bambini, fin dal concepimento, anche prima di essere partoriti. L’obiezione di coscienza, il giudizio sulla legge 194 e sulla sua attuazione, la valutazione sull’efficacia dei consultori familiari esige inevitabilmente una risposta a questo dilemma. Per la Ru486 si è subito profilato il compromesso maggioritario: che tutto il percorso abortivo si svolga in ospedale non ambulatorialmente. Così verrà scoraggiato l’uso della pillola e si applicherà con rigore l’art. 8 della 194. Ma sarà impossibile impedire alla donna di firmare per andarsene dall’ospedale subito dopo aver inghiottito la pillola. Prenderanno così forza due opposte tesi per ottenere una modifica normativa: quella che pretende la somministrazione sostanzialmente privata della Ru486 e quella che, constatata l’impossibilità pratica della gestione ospedaliera, tenterà di qualificare come illecita la somministrazione della Ru486 in quanto tale. In ogni caso si ridiscuterà della legge 194, una legge che offende la vita, ma offende anche la verità. Il suo volutamente equivoco linguaggio ne ha reso possibile una applicazione perversa. La Repubblica non deve limitarsi a “tutelare la vita”, come recita l’art. 1, ma deve riconoscere il diritto alla vita di ogni essere umano fin dal concepimento. Il resto è conseguenza. Anche quando si rinuncia a punire e persino a vietare, la bussola orientativa riguardo alla funzione consultoriale, al colloquio medico-donna, all’intervento del volontariato, ai messaggi educativi e culturali deve essere la salvezza della vita del figlio, non contro la madre ma insieme alla madre. Di fronte al rischio grave e incombente della privatizzazione dell’aborto, del resto già abbondantemente in atto con i sostitutivi della Ru486 e con la pillola del giorno (e dei giorni) dopo l’unico efficace antidoto consiste nel restituire alla coscienza della madre, del padre, della famiglia e della società tutta intera il coraggio dell’accoglienza, la quale suppone la consapevolezza della verità sul figlio. Per questo da 15 anni abbiamo proposto la riforma non solo dell’art. 1 della 194, ma anche dell’art. 1 del Codice Civile Per questo, insieme al Forum delle famiglie abbiamo presentato un progetto di riforma dei consultori familiari. Per questo abbiamo domandato ai nuovi Consigli regionali, in primo luogo ai presidenti regionali, di iscrivere nei rispettivi statuti la protezione del diritto alla vita fin dal concepimento deducendone poi le coerenti applicazioni amministrative. Le maggioranze in alcune Regioni e a livello nazionale potrebbero consentirlo.